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Il caffè da Napoli a Costantinopoli

04
Lug
La scrittrice e giornalista Matilde Serao, a proposito del caffè e del modo di servirlo agli ospiti, spiega: «Il caffè nei grandi pranzi non si serve mai a tavola: neppure nei pranzi di mezza cerimonia. In salotto, coi liquori, cognac vecchissimo, kummel fine, chartreuse autentica o qualche altro straordinario liquore».
Lo sapevate? Ma non è tutto. Corrado nel 1773 scriveva che gli uomini, “per lo bello e per l’utile della Società, furon formati diseguali nella loro fisionomia, struttura e robustezza, come anche nelle idee, nelle sensazioni, e nei gusti, perciò, per soddisfare, in questa parte di sensazione, e di gusto, varie le bevande del Caffè han da essere nella loro preparazione”. E tante erano e sono tuttora le modalità di preparazione e somministrazione del caffè. Pietro Della Valle è stato probabilmente il primo italiano, napoletano d’adozione, a conoscere il caffè nei suoi viaggi in Oriente, a partire dal 1614. Musicologo, erudito e viaggiatore racconta che a Costantinopoli nelle ‘case di cahve’, ovvero del caffè, com’era chiamato allora in turco, si consumava sempre accompagnato da ‘semi di melloni’ per passare il tempo, che veniva zuccherato oppure aromatizzato, anche se amaro e senza aggiunte avrebbe espresso al meglio le sue proprietà medicamentose.
Proprietà che sembrano confermate da recenti studi. L’abuso, certo, non è raccomandabile, ma una dose giornaliera di tre tazzine non fa male. Esagerare tuttavia comporterebbe esclusivamente agitazione, l’eccesso arrecherebbe l’insonnia, ma rischi cardiovascolari, né di altre malattie. La caffeina e gli antiossidanti contenuti nel caffè, al contrario, sono ottimi contro l’invecchiamento delle cellule, riducendo anche i rischi di infarto, diabete e cirrosi epatica. I Turchi ne sono al corrente fin dal Medioevo, quando alla fine del Ramadam, tra danze, musiche e trucchi, placavano la fame, accompagnando il tutto con caffè nero bollente. Ma ritorniamo al caffè e ai possibili aromi, anche un po’ esotici.